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Casa degli Atellani e la vigna di Leonardo

Una dimora storica, un giardino segreto nel cuore di Milano

Signore e signori benvenuti nella casa degli atellani e nella vigna di Leonardo.

Gli Atellani o Della Tela erano una famiglia di Cortigiani e diplomatici al servizio degli Sforza.⁣
Venivano dal Comune di Atella, in Basilicata, ed erano giunti al nord nel corso del Quattrocento.⁣

Giacometto era scudiero e maestro di stalla di Ludovico; i suoi figli Carlo e Lucio Scipione ricoprirono importanti incarichi diplomatici e governativi al servizio dei figli di Ludovico, Massimiliano e Francesco II.⁣

Era il 1490 quando Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, signore della città, regalò a Giacometto della Tela, il capostipide degli Atellani, due case a corte con giardino situate lungo il Borgo delle Grazie, l’attuale Corso Magenta.⁣

Gli Atellani restarono fedeli agli Sforza fino alla fine, ossia fino a quando, estinta la dinastia, Il Ducato di Milano non passò prima nelle mani dell’imperatore Carlo V e poi in quelle del ramo spagnolo degli Asburgo.⁣

Con alterne fortune, abitarono nelle loro case fino alla seconda metà del 600.⁣

Nel ventesimo secolo, le due case a corte che Ludovico regalò agli Atellani sono state unite e trasformate in una dimora sola grazie all’intervento del nuovo proprietario, l’ingegner Ettore Conti e di Piero Portaluppi, uno dei più grandi architetti milanesi del 900.⁣

Casa degli Atellani primo cortile

Ma chi sono i protagonisti che abitarono in questa dimora?

Protagonista assoluto è il Moro!

Ludovico Maria Sforza, detto il Moro per via forse della carnagione scura, quarto figlio maschio del Duca Francesco I. Alla morte del fratello cerca di impadronirsi del Ducato, ma è costretto all’esilio. Nominato Duca di Bari, torna a Milano dove divenne prima governatore e poi Duca di Milano nel 1480.

Sotto il suo governo, la città e il Ducato cambiano aspetto.

La sua splendida Corte era affollata di artisti e di poeti: uno per tutti, Leonardo da Vinci che lavora per 18 anni alla sua corte.

Casa degli Atellani secondo cortile dimora stotica milano

Il governo e tutti i progetti di Ludovico si interruppero bruscamente nel 1500, quando le truppe del re di Francia invasero il Ducato e Ludovico come scrisse cinicamente Leonardo perse “lo Stato, la roba, la libertà”.

Sconfitto il Moro venne portato prigioniero in Francia e in prigione presumibilmente morì, nel castello di Loches, nel 1508, all’età di 55 anni.

Gli Atellani erano fedelissimi agli Sforza, e nella loro casa sono rimaste molte testimonianze di questa fedeltà.

Entriamo e vediamo le stanze di questa meravigliosa dimora stotica!

1. La stanza dello zodiaco

Decorare le stanza dei palazzi con immagini astrologiche era un’usanza già medioevale, comune prima agli edifici religiosi e diffusa, dalla fine del Duecento, anche agli edifici di carattere civile.

La sala dello Zodiaco di casa degli Atellani risulta citata in un inventario dei beni già nel 1544.

La relazione et stima dei miglioramenti allora compilata è la descrizione più preziosa è più antica, delle case degli Atellani in nostro possesso.

Qui si trova citata per la prima volta assieme a molti altri valori, “la camera dove è pinto li planeti”.

stanza dello zodiaco casa degli Atellano Corso Magenta Milano

Le figure ritratte sulla volta del soffitto rappresentano Infatti i pianeti, mentre nelle lunette sulle pareti sono dipinti i segni zodiacali.

Non si sa per quale motivo pianeti e segni siano dipinti in queste posizioni: potrebbero dipendere dal tema natale di un personaggio (un Atellano, o uno Sforza) di cui però ignoriamo l’identità.

Inoltre non si sa con certezza quali siano gli autori di questi affreschi: un’ipotesi recente li vorrebbe opera degli Avogadro di Tradate, una famiglia di pittori manieristi molto attiva nel 500.

Ma la sala dello Zodiaco capolavoro dell’arte mimetica di Portaluppi, della sua capacità di mescolare impunemente vero antico e falso storico, durante il Rinascimento era diversa da come è oggi

Al monumentale progetto di Portaluppi qui serviva un ambiente più grande e perciò l’architetto scelse di abbattere la parete a occidente e di allargare la sala, conservando e spostando gli affreschi originali, e aggiungendone di nuovi.

Le fotografie scattate da Portaluppi prima di cominciare i restauri ci restituiscono appieno l’idea di quanto la sala dello Zodiaco, prima della cura, fosse malconcia e trascurata.

Allora le due case degli atellani erano divise da un muro obliquo e finestrato che passava proprio di qui.

Portaluppi amplia le dimensioni della stanza demolendo quel muro e aggiungendo poi nuove volte al soffitto, che decora con gli strumenti per misurare il tempo che tanto amava, e di cui era collezionista: astrolabi, clessidre, meridiane.

Sul mosaico del pavimento ridisegna pianeti e segni dello zodiaco, in corrispondenza degli affreschi sulle pareti.

Secondo l’astrologia, la posizione il movimento delle stelle e dei pianeti influenzano la vita delle persone.

I pianeti del sistema solare hanno nomi legati agli dei, associati nell’arte antica a una particolare iconografia: un oggetto, una storia, un dettaglio, che li rendesse riconoscibili.

Nella sala dello Zodiaco, ogni figura dipinta negli otto spicchi della volta rappresenta una divinità, e quindi un pianeta, ritratto sul proprio carro.

Distinguerli è facile: di fronte all’ingresso della sala c’è Gea, la dea della terra, in senso orario, gli altri dei sono: Saturno con la falce, Giove sul trono, Marte guerriero, il Sole , la Venere nuda, Mercurio con il cappello alato e Diana la Luna.

Nelle lunette alte sulle pareti della sala sono raffigurati i segni dello zodiaco.

Di fronte all’ingresso, sotto la dea della Terra, c’è l’ acquario; in senso orario tutti gli altri, in quest’ordine visibile: Pesci, Ariete Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario e Capricorno.

Le lunette sulle pareti sono però 14: ampliando a occidente le dimensioni della stanza l’architetto ne aggiunse per forza altre 2: in una fece scrivere le iniziali H&J, nell’altra in moto “Faire sans di”.

Le iniziali H&J starebbero per Hector e Joanna, ossia Ettore Conti e Gianna Casati, proprietari della casa dal 1919.

“Faire sans dire”, fare senza parlare, è il motto di Ettore Conti inteso come fare senza perdere tempo, alla milanese: non è l’unico molto presente nella sala dello Zodiaco; troviamo anche “Audendo virtus crescit, tardando timor”: il valore cresce osando, la paura indugiando, del drammaturgo Plubilio Siro e “Volentem ducunt fata nolentem trahunt”: il fatto guida chi vuole lasciarsi guidare e trascina chi non vuole,di Seneca.

2. La stanza dei ritratti

In questa sala sotto una volta a lunette completamente affrescata, si trovano 14 tondi con i ritratti di altrettanti uomini e donne della dinastia Sforzesca.

Per identificarli è necessario decifrare le iniziali che accompagnano ogni tondo.

Sulla parete sopra la porta d’ingresso, con le iniziali F.II, il duca Francesco II Sforza, figlio di Ludovico il Moro, dei quattordici personaggi è l’unico ritratto dal vivo.  Dal confronto fra questo è l’altro suo ritratto conosciuto (più tardo, dipinto da Tiziano), si fa risalire la realizzazione della sala agli anni fra il 1522 e il 1526.

Sulla parete sinistra verso la finestra troviamo i ritratti di Ludovico il Moro, iniziali LV. M., e di sua moglie Beatrice d’Este, iniziali BEA. RI.

Grande protagonista della vita di corte milanese,  Beatrice sposa Ludovico il Moro nel 1491 e gli dà due figli, Massimiliano e Francesco II.

Muore di parto a 21 anni nel 1497. Riposa tutt’ora in Santa Maria delle Grazie ma si ignora in quale parte della Basilica.

Per riconoscere da terra le identità dei 14 personaggi sforzeschi, Portaluppi ordinò di realizzare, ai lati della porta verso il giardino, un albero genealogico dominato da Muzio Attendolo e concluso dei figli di Ludovico il Moro e dalla coppia dei loro tutori, Bianca Maria Sforza e il duca di Borgogna.

Volta e ritratti vennero dipinti del grande pittore leonardesco Bernardino Luini e della sua bottega, dopo il 1522, e si ritiene non oltre il 1526.

Bernardino Luini è stato uno dei più importanti artisti del Rinascimento italiano e la critica lo inquadra nella schiera dei leonardeschi, ossia fra quanti vivendo e operando a Milano negli anni di Leonardo Da Vinci, vennero a contatto con il suo linguaggio e con le sue opere, ne subirono l’influenza e ne proseguirono la ricerca.

Citati già nel 1544 i ritratti degli Sforza presenti in questa sala tornarono all’attenzione pubblica nell’Ottocento, quando la casa degli Atellani cominciò ad essere citata su molte guide turistiche e storiche della città.⁣

Molti mercanti d’arte e molti musei, soprattutto dall’estero, si fecero avanti per acquistarli.

Pur di scongiurare la vendita, nel 1902 li acquistò il Comune di Milano, attribuendoli definitivamente a Bernardino Luini,  ravvisando le evidenti somiglianze con gli affreschi di San Maurizio.
I ritratti originali vennero staccati e trasferiti al museo del Castello Sforzesco.

Le lunette vennero sostituite da copie identiche, realizzate dal celebre pittore e restauratore leonardesco Luigi Cavenaghi.

La volta affrescata secondo l’uso leonardesco, con arabeschi, nodi vinciani e motivi vegetali, è invece ancora quello originale del Rinascimento.

Nella teca al centro della sala, sul pavimento a mosaico disegnato da Portaluppi, si conserva la prima Opera del ‘la Malvasia di Milano”, prima bottiglia del vino di Leonardo rinato nel 2018, dopo 500 anni, con la prima vendemmia della Vigna del genio.

Il vino Malvasia di Candia Aromatica è conservato in uno speciale decanter ripreso dal disegno di un rebus di Leonardo Da Vinci.

 

3.La sala dello Scalone

Questa sala ci offre la possibilità di conoscere la storia di tutte le trasformazioni avvenute nella casa.

In quattro secoli le proprietà sono passate attraverso quattro differenti famiglie. Portaluppi concede l’onore delle armi ai precedenti proprietari della casa, incastonando in silenzio i loro stemmi gentilizi nella baluastra dello scalone.

stanza dello scalone milanosuitacchi curiosità

Stemmi rifatti apposta, se non scovati durante il cantiere.

Mancava però lo stemma degli Atellani: si pensava un ceppo di legno sul quale una mano sta calando una scure. È quindi invenzione di Portaluppi il quarto stemma riprodotto sullo scalone.

La grande mappa di Milano su tela appesa sulla parete che fiancheggia lo Scalone risale ai primi del Settecento.

Si riconoscono la cerchia interna dei Navigli e le mura spagnole; la fortificazione a Stella del Castello Sforzesco, e il Lazzaretto.

E’ una mappa particolarmente interessante perché, oltre agli edifici e alle strade, riporta i perimetri delle aree verdi, giardini o in questo caso vigneti, con i relativi proprietari.

Questo Scalone conduceva all’ infilata dei grandi saloni di rappresentanza del primo piano, purtroppo demoliti dai bombardamenti del 1943: la cosiddetta sala Omnibus, la sala del biliardo, il salone degli Specchi, la sala da pranzo.

Di tutti questi ambienti grandiosi, un elegante studiolo e la sala da pranzo, restano soli a conservare l’antico splendore.

La sala da pranzo con le finestre rivolti alla bramantesca tribuna di Santa Maria delle Grazie è visitabile sono in speciali occasioni ed è graziosamente decorata come un giardino con alberi da frutto ed uccelli esotici appollaiati sui rami.

Le due case degli Atellani che  Ettore Conti acquista sono piene di opere d’arte, reliquie e reperti di ogni genere e di ogni tempo.

Qui si vedono tre affreschi conservati sulla parete d’ingresso: una crocifissione, una Madonna col bambino, un trono di grazia, ovvero una sorta di pietà al maschile: è Dio Padre assiso sul trono, che accoglie mostra il figlio morto, mentre tra i loro volti aleggia la Colomba dello Spirito Santo.

4.Lo studio di Ettore Conti

Ettore Conti, come accennavo all’inizio, nel 1919 acquistò le due case degli Atellani, affidando poi all’architetto Piero Portaluppi l’incarico di trasformarle in una sola dimora.

studio di Ettore Conti casa degli Atellani

Ettore Conti era un magnate dell’energia elettrica, con le sue imprese nel primo Novecento, costruì molte centrali idroelettriche nelle valli alpine, progettate proprio da Portalupi diventando uno dei più importanti industriali del ventennio fascista.

Senatore del regno, primo presidente di Agip e presidente di Confindustria, incaricato di missioni economiche all’estero, presidente per 15 anni della Banca Commerciale: Conti era uno dei rari italiani che Mussolini non riusciva ad intimidire.

Alcune sue prese di posizione nei confronti della dittatura sono passate alla storia: quella sulla rivalutazione della lira,nel 1927; e prima ancora soprattutto, quella direttamente esposta contro il governo di Mussolini, nel 1924, al culmine della crisi successiva alla morte di Matteotti.

Morì nel 1972 all’età di 101 anni, lui e la moglie riposano in una cappella di Santa Maria delle Grazie, la Chiesa della quale per due volte finanziarono il completo restauro, prima e dopo la guerra.

In questa sala sulla parete a sinistra del camino troviamo i loro ritratti.

Sopra il camino invece, domina il grande stemma di alleanza fra il duca Francesco II Sforza e la giovane moglie Cristina di Danimarca.

In araldica gli armi (o stemmi) d’alleanza sono quegli scudi partiti nei cui campi sono presenti gli stemmi di famiglie unite in matrimonio, o da qualche altra forma di alleanza.

Si suppone che lo stemma d’alleanza sia stato ordinato dagli Atellani per rimediare all’assenza di Cristina nel novero dei precedenti 14 ritratti sforzeschi.

Morendo a soli 40 anni, nel 1535, Francesco II Sforza lascio la tredicenne Cristina di Danimarca vedova e senza figli.

Nella successiva divisione del proprio impero, Carlo V assegnò Il Ducato di Milano al figlio Filippo, inaugurando la bisecolare dominazione spagnola.

Lo stemma di alleanza è composto dalle insegne di tutte le armi coinvolte nel matrimonio.

I quarti a sinistra, l’aquila dell’impero e il biscione concesso dai Visconti e poi trasmesso agli Sforza, valgono per Francesco II; i quarti a destra valgono per Cristina.
I tre Leoni rappresentano la Danimarca, le tre corone la Svezia, il Leone d’Oro la Norvegia, il drago d’oro Il regno dei Vendi, sul mar Baltico; nel riquadro due leoni rappresentano lo Schleswing, la foglia di ortica l’ Holstein, Il cigno la contea di Storman e le due fasce rosse l’Oldenburgo.

Uno stemma analogo a questo si trova tutt’ora sulle mura del Castello Sforzesco di Vigevano.

La torre di Babele esposta in questa sala è opera di Marten van Valckenborch.

I 4 ritratti di cani esposti sulla parete di fronte sono attribuiti a Rosa da Tivoli, celebre pittore barocco tedesco.

La biblioteca e le pareti dello studio sono rivestite per intero di boiserie seicentesca di scuola valtellinese.
In virtù della presenza del camino, Portalupi ripropose in questa sala gli arredi lignei tipici di molte dimore storiche della Valtellina.

In molti scomparti della boiserie è riprodotta la scritta Agere non loqui (fare senza dire), il moto di Ettore Conti.

5. Giardino delle delizie

Proseguiamo la visita seguendo il sentiero di ghiaia che attraversa il giardino.

Di questo angolo di pace invisibile dalla strada, si parlava già in tutta Milano durante il Rinascimento.

giardino delle delizie di casa degli atellani milano corso magenta

È qui che Matteo Bandello, il più importante novelliere del Cinquecento, frate domenicano di stanza alla Basilica delle Grazie ambientò  gran parte delle sue novelle.

Allora gli Atellani e il loro giardino si trovavano al centro della vita mondana della città.

Non c’era condottiero dell’imperatore Carlo V e non c’erano dame e cavalieri ospiti degli Sforza, di passaggio a Milano, che non venissero in visita qui.

Fra questi anche Cecilia Gallerani, la dama con l’ermellino amante del Moro, ritratta da Leonardo da Vinci, e lo stesso Leonardo.

Ai tempi degli Atellani il giardino era ricco di alberi da frutto di ogni genere, molto più selvaggio di oggi.

vigna di leonardo corso Magenta milano

Alcune fotografie scattate prima dell’intervento di Portaluppi mostrano come fosse più piccolo, tagliato in due da una serra, trascurato e in declino come la casa.

Portaluppi lo reimposta secondo nuove regole di simmetria, intorno a un viale, ornato di anfore e statue in pietra e fontane.

Quello stesso viale sopravvive ancora oggi, e conduce direttamente alla Vigna di Leonardo Da Vinci.

Le oltre 200 novelle pubblicate di Matteo Bandello, nel 1554, sono considerate il novelliere più importanti del Sedicesimo secolo (due novelle sono servite da fonti per due opere di Shakespeare: Molto rumore per nulla e Romeo e Giulietta).

Ogni Novella è dedicata a un personaggio dell’epoca, di ognuna Bandello descrive il luogo è l’occasione in cui l’ha ascoltata: molte novelle sono dedicate agli Atellani e vengono ambientate e raccontate sullo sfondo di questa casa, e di questo giardino.

Nipote del Priore di Santa Maria delle Grazie, Matteo Bandello era molto amico degli Atellani in particolare del figlio, di Giacometto, Lucio Scipione.

In alcune delle sue novelle più ricordate descrive proprio come Leonardo da Vinci lavorava all’Ultima Cena.

6. La vigna di Leonardo

Leonardo da Vinci giunse a Milano da Firenze nel 1482 all’età di 30 anni, lui e il Moro avevano la stessa età.
Oltre a far parte della lista degli ingegneri ducali per il Moro, Leonardo escogitava nuove armi, progettava macchine idrauliche, marchingegni bellici e come un regista dirigeva feste di cui parlava tutta l’Europa.

Ovviamente faceva anche l’artista lavorò a lungo su un gigantesco monumento equestre al padre di Ludovico.

Nel 1495 di fronte a questa casa Ludovico il Moro incaricò Leonardo da Vinci di dipingere un’ultima cena nel refettorio di Santa Maria delle Grazie la basilica che pensava di trasformare nel mausoleo degli Sforza.

Nel 1498 a compenso del lavoro svolto Ludovico regalò a Leonardo una vigna  situata nelle terre alle spalle della casa degli Atellani. È lo stesso Leonardo da Vinci a precisare, su un foglio del codice Atlantico, le dimensioni della Vigna.

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⁣⁣⁣⁣Sappiamo che Leonardo passava anche giornate intere sui ponteggi a dipingere l’ultima cena: possiamo immaginarlo mentre alla fine di una giornata di lavoro, lascia il refettorio e passando per le case degli Atellani, si spinge in fondo al giardino per controllare in pace lo stato della sua vigna.

Leonardo teneva moltissimo alla sua vigna, eppure è costretto molto presto ad abbandonarla.⁣⁣⁣⁣
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Fra il 1499 e il 1500, nei giorni in cui il Moro viene sconfitto e i francesi conquistano il Ducato, anche Leonardo lascia Milano.⁣⁣⁣⁣
I francesi confiscano tutte le donazioni del Duca e perciò confiscano anche la sua vigna; gliela restituiranno solo nel 1506, senza che l’artista abbia “a patire spesa pur de un soldo”.⁣⁣⁣⁣
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Leonardo però sarà lontano ad Amboise, nella Loira, ospite del re di Francia, dove morirà il 2 maggio 1519.⁣⁣⁣⁣
Un mese prima di morire cita La Vigna nel suo testamento, ordinando che venga suddivisa in due lotti uguali, da donare uno a Giovanbattista Villani, il servitore che l’ha seguito fino alla fine, l’altro allievo prediletto Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaì, che presso la vigna, c’è scritto nel testamento, aveva costruito una piccola casa.⁣⁣⁣⁣
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Dopo la morte di Salaì nel 1524, Francesco II Sforza,ultimo Duca di Milano, donò quel che restava della vigna a un lontano parente di Giacometto della Tela.⁣⁣⁣⁣
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Per quattro secoli, della vigna di Leonardo nessuno saprà più niente.⁣⁣⁣⁣

A risvegliare l’interesse intorno alla vigna di Leonardo concorre, nel primo Novecento, una ricerca condotta dall’ architetto Luca Beltrami. A cavallo fra il XIX il XX secolo, Luca Beltrani è uno dei massimi architetti di Milano, l’autore della ricostruzioni del Castello Sforzesco e di molti edifici della città.

Ma è anche un importante studioso di Leonardo, il primo a curare una raccolta cronologica completa di tutti i documenti che lo riguardano, e di tutte le opere.

Dallo studio e dal confronto fra i documenti e gli atti notarili legati alla Vigna Grande di San Vittore, Beltrami ricava l’esatta posizione della Vigna di Leonardo, nelle terre alle spalle della casa degli Atellani, allora appena acquistata da Ettore Conti.

Nel 1920 Beltrami fotografa i resti della Vigna e pubblica la sua ricerca in un libro, intitolato proprio “la vigna di Leonardo”.

Appena in tempo: nel decennio successivo, un nuovo quartiere residenziale sorge sui campi e sulle Vigne abbandonati di tutta l’area.

Della Vigna di Leonardo resiste, in fondo al giardino della casa degli Atellani, un piccolo quadrilatero di filari, poi ricoperto per intero dalle macerie dei bombardamenti che, nel 1943, si sono abbattuti proprio sulla quattrocentesca dimora.

Nel dopoguerra la casa degli Atellani viene restaurata. Per 70 anni al posto della Vigna di Leonardo resta un prato con un altalena.

Nel XXI secolo la fondazione Portaluppi e gli eredi di Ettore Conti e Piero Portaluppi, attuali proprietari di casa degli Atellani, hanno coinvolto la facoltà di Scienze Agrarie di Milano in un’inedita ricerca storica e scientifica, volta a scoprire quale fosse il vino coltivato da Leonardo da Vinci.

Dal 2007 scavi archeologici nell’aria in fondo al giardino, hanno permesso di ritrovare e portare alla luce i camminamenti dei filari fotografati da Luca Beltrani.

Alcuni campioni di materiale organico isolati durante gli scavi sono stati riconosciuti quali appartenenti alla specie vitis vinifera, la cosidetta vite comune euroasiatica.

Dalle analisi condotte sui campioni è stato possibile ricostruire il profilo genetico completo del vitigno, che è stato poi messo a confronto con analoghi profili di varietà già coltivate ai tempi di Leonardo.

Fra questi, il vitigno è apparso corrispondente a una rappresentante del gruppo delle malvasie bianche, già conosciuto all’epoca: La Malvasia di Candia aromatica.

Lo strato del terreno è stato così preparato ad accogliere l’impianto della vite: nel 2015 in fondo al giardino di casa degli Atellani è stata ripiantati e rinata la vigna di Leonardo da Vinci, a 500 anni dal dono di Ludovico al genio del Rinascimento milanese.

La Malvasia di Milano è il vino di Leonardo. Le sue uve dorate sono state raccolte il 12 settembre 2018 e lasciate fermentare a buccia in una giara in terracotta, successivamente interrata secondo l’antico metodo greco-romano.

330 sono le Opere, Anno I, che custodiscono il frutto di quella prima preziosa vendemmia: esclusivi Decanter progressivamente numerati e sigillati con timbro di garanzia e cera lacca.

Così la storia si rinnova ad ogni vendemmia. La vigna e il vino restano qui all’ombra di Santa Maria delle Grazie, testimoni ora è sempre del secolare legame tra Leonardo e la città di Milano.

corso Magenta Santa Maria delle Grazie e casa degli Atellani Milano

Concludo con alcune osservazioni

Nel primo Novecento le due case degli Atellani non erano vincolati dalla Sovrintendenza: Portaluppi avrebbe potuto demolirle e ricostruirne una ex novo.

Per inventarsi una dimora sola, l’architetto preferisce abbattere il muro che le separava, unendo le due corti preesistenti grazie a un nuovo atrio porticato, sotto il quale prevede l’ingresso all’appartamento padronale.

La pianta della nuova casa viene riequilibrata intorno a un’inedita prospettiva che si spinge fino al giardino interno: oggi fino alla Vigna.

Nel corso del cantiere Portalupi conserva e riporta in vita molte tracce architettoniche del passato.

La guglia appoggiata a terra è una guglia originale del Duomo, dono della Veneranda Fabbrica del Duomo a Portalupi.

L’ architetto gioca con le tracce del passato che incontra: la nuova casa degli Atellani e un’affascinante miscela di nuovo e di antico, di vero e di falso, e di questa miscela il geniale Portalupi è il regista.

L’ architetto interviene due volte nel 1922 e dopo la Seconda guerra mondiale quando ridisegnare l’intera facciata su Corso Magenta, distrutta dai bombardamenti dell’agosto del 1943, dialogando con il sè stesso di vent’anni prima.

Sul monumentale portale di ingresso, firma l’opera con due finestre a triangolo polilobato, e con il cancello, su cui disegna il motivo dell’orifiamma, che oggi chiamiamo rosa atellana, presente nella Cappella degli Atellani in Santa Maria delle Grazie.

Proprio la rosata atellana è oggi il simbolo del museo.

La casa degli Atellani trasformata da Portalupi viene inaugurata nel 1922, in occasione delle Nozze d’oro fra Ettore Conti e la moglie Gianna Casati.

Nello stesso anno, anche Piero Portaluppi vi si trasferisce assieme alla moglie e figli.

Sul campanello del suo appartamento riprende il disegno della casetta con l’alto comignolo, il simbolo dello studio Portaluppi.

In questa casa l’architetto morì il 5 luglio 1967